Al Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio del Lazio
Via Cavalletti, 2 - 00186 Roma
Oggetto: Richiesta istanza di tutela e salvaguardia dell’area denominata “S. Antonio” nel Comune di Cisterna di Latina (LT) di cui agli artt. 45-46-47 del D. Lgs 42/2004.
Il sottoscritto Maurizio Cippitani, in qualità di responsabile del WWF, Gruppo Attivo di Cisterna di Latina (LT),
PREMESSO CHE
- il 04/02/1994 l’edificio denominato “Mulino Luiselli” - ex convento di S. Antonio Abate, sito in Cisterna di Latina, in Corso della Repubblica 35, è stato vincolato ai sensi della legge 1089/39 su richiesta dell’associazione scrivente (Allegato 1);
- con nota prot. 21186 del 27/05/2004 la soc. MU.CI. s.n.c., Mola Cosimo, Mormile Gelsomina, Maggi Anna Maria e Maggi Elisabetta quali proprietari delle aree interessate hanno presentato al Comune di Cisterna di Latina la richiesta di esame di una proposta progettuale titolata: “Programma integrato d’intervento per la riqualificazione dell’area interessata dall’ex mulino Luiselli e di un’area a ridosso dell’area all’ingresso nord della città di Cisterna di Latina”;
- con deliberazione della G.C. n. 235 del 04/06/2004 l’amministrazione comunale ha espresso parere preliminare favorevole alla definizione di Programma Integrato d’Intervento;
- con deliberazione del C.C. n. 47 del 04/08/2005 è stato adottato il Programma Integrato d’Intervento per la riqualificazione dell’area interessata dall’ex Mulino Luiselli e di un’area a ridosso dell’ingresso nord della città;
- con deliberazione del C.C. n. 34 del 28/06/2006 non sono state accolte le osservazioni al PII presentate dal WWF di Cisterna di Latina[1] (Allegato 2 – pag. 1);
CHIEDE
in relazione ai disposti dagli artt. 45-46-47 del D.Lgs 42/2004, che codesta Soprintendenza di avviare il procedimento per la tutela indiretta sulle pertinenze del Convento di S. Antonio nel Comune di Cisterna di Latina (LT) come descritto nella Cartografia di cui al foglio catastale F. 103, mappali 264-265-266-267-268-269-271-272-299-300-301-302 (Allegato 3).
A parere dell’associazione scrivente si tratta in sostanza di porre tutti i divieti necessari perché non siano alterati il decoro ambientale, l’integrità, la prospettiva e la luce del bene già protetto in via diretta.
La scelta di inoltrare tale richiesta è scaturita dalla constatazione che sia i privati, proprietari del “Mulino Luiselli” che le amministrazioni comunali succedutesi nel corso degli anni, non hanno mai mostrato un vero interesse nei riguardi dell’immobile vincolato e, peggio ancora, si sono dimostrati cattivi custodi dell’unico edificio di pregio architettonico esistente nel nostro territorio.
Le amministrazioni comunali, infatti, hanno sempre appoggiato tutti gli elaborati progettuali presentati dai privati dagli anni ’90 ad oggi escludendo a priori la possibilità di creare una apposita fascia di rispetto idonea a preservare la circostante cornice ambientale e ad assicurare il migliore godimento, da parte della collettività, dell’edificio.
In particolare l’attuale amministrazione comunale ha contribuito massicciamente alla formazione di una coscienza contraria al patrimonio culturale del nostro territorio. Ne dà dimostrazione il convegno pubblico[2] del 14/01/2002 organizzato dal sindaco di Cisterna per illustrare i “benefici” per la collettività con la realizzazione di un polo commerciale, abitativo e direzionale da realizzarsi nelle pertinenze del Convento di S. Antonio Abate. Per garantire maggiori chance all’approvazione dell’ultimo progetto elaborato sull’area in oggetto, l’amministrazione comunale ha utilizzato lo strumento del Programma Integrato di Intervento.
L’equivoco storico è intrinseco nella presentazione dei vari progetti che si sono succeduti nel tempo relativi a questo immobile. Prima della redazione dell’ultimo progetto i vari progettisti lo hanno sempre presentato come, una “piccionaia”, “ammasso di macerie” o, peggio, come “immobile senza particolare pregio artistico-architettonico” che poteva essere demolito o facilmente destinato a più prosaica utilizzazione. Altri, ancora, hanno messo in dubbio l’autenticità storica dell’edificio attribuendo la sua completa riedificazione nel dopoguerra.[3]
Ora, nella Relazione Illustrativa, il mulino diventa un edificio la cui “imponenza e storia costituisce punto di riferimento e di caratterizzazione per l’intera comunità”. Palese esempio di dissociazione storica che non fa onore a chi l’approva.
È evidente che questi giudizi contraddittori siano legati all’intenzione di favorire i privati inseriti nel PII. In un primo momento, infatti, l’edificio doveva essere demolito e poi destinato direttamente ad attività commerciale e residenziale per cui faceva comodo sottovalutarne il valore. Attualmente, invece, il convento viene considerato di alto valore architettonico e, quindi economico, per riconoscere ai proprietari ingenti ristori di cubatura e le varianti al PRG.
Riconoscendo le peculiarità storiche ed architettoniche di un immobile il comune dovrebbe adottare strumenti urbanistici a tutela dello stesso e non il contrario.
Si segnala, invece, che nonostante l’edificio sia stato vincolato il 02/04/1993 ai sensi della L. 1089/39 e, l’amministrazione comunale ha deliberato una Variante Strutturale al P.R.G.C. adottata in data 15/04/2005, che prevede, per l’area stessa, un cambiamento di destinazione urbanistica, da “Verde Attrezzato” e “Attrezzature amministrative” ad “Area di riqualificazione urbana per la residenza e l’attività commerciale di interesse locale”[4], con la conseguente definizione di una considerevole ed ingiustificata capacità edificatoria, per cui i provvedimenti di Vostra competenza rivestono la massima urgenza. Tale variante è collocata in ordine di tempo tra la presentazione della richiesta di esame del PII da parte dei privati[5] e l’adozione del PII in Consiglio Comunale.[6]
Dal progetto scaturisce, inoltre, un equivoco normativo che è dato dalla Legge di riferimento evocata dai presentatori del programma. La legge regionale 22 del 26/06/1997 si occupa, in prevalenza delle zone dimesse e fatiscenti che, attraverso l’intervento sinergico del pubblico e privato dovrebbero tornare a rivestire un ruolo trainante nella vita delle città in cui queste zone insistono. Il nostro parere è che il programma in questione tutto tocca meno che zone dimesse e fatiscenti a meno che non si voglia considerare tali il giardino di una villa (proprietà “Mola-Mormile”) ed una zona agricola posta in un’area periferica del comune. Se poi ci si riferisce all’immobile destinato a mulino e, prima, a convento, non vi è sembrato scorgere progetti o programmi che ne comportino il restauro.
La richiesta di tale vincolo si motiva dalla necessità di mantenere le caratteristiche urbane del sito che costituisce un unico complesso con al suo interno il Convento di S. Antonio Abate.
Dopo aver visionato gli elaborati grafici del progetto del Programma Integrato si è arrivati alla convinzione che una inevitabile compromissione del sito comporterebbe un danno irreparabile sulla possibilità di percezione del monumento stesso, alterando le condizioni di ambiente e di decoro dell’intera area.
Secondo la normativa vigente, lo strumento del programma integrato considera la realizzazione di nuovi edifici, il potenziamento di infrastrutture pubbliche esistenti, (allargamento di strade e rifacimento di marciapiedi e dell’arredo urbano) la realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico (scuole, teatri, parchi pubblici) il recupero del patrimonio edilizio esistente e definisce le diverse destinazioni d’uso insediabili su una determinata area. Affinché tutti questi interventi costituenti il piano si traducano in un programma integrato, è essenziale che si verifichi una riqualificazione territoriale, ovvero un miglioramento significativo della qualità urbana in senso lato che successivamente si riverberi sull’intero territorio. Anche se nel PII in questione vengono inseriti alcuni degli interventi descritti, con la sua realizzazione non si andrebbe a riqualificare un’area ma a degradarla.
I progettisti hanno dichiarato di aver eseguito “in questo momento, il miglior progetto possibile” e ancora “Per quanto ci riguarda ad una città immobile che guarda solo indietro preferiamo correre qualche rischio ma guardare avanti”[7] (Allegato 2 – pag. 20).
Ancor più preoccupanti sono le dichiarazioni inserite all’interno del parere del Servizio Urbanistica del Comune di Cisterna di Latina: “Le critiche radicali apportate dagli opponenti (il WWF di Cisterna di Latina) all’impianto di progetto sono di accezione squisitamente ideologica e non si ritengono concettualmente condivisibili. Nella fattispecie non si ritiene condivisibile la opinione per cui la “valorizzazione” di una emergenza architettonica sia direttamente proporzionale alla quantità di spazi liberi che si è in grado di ricavare attorno ad essa (“vuoto” circostante che ne garantirebbe la visibilità prospettica centrale da ogni parte attribuendo al manufatto tutelato una sorta di dignità e di centralità simbolica oltre che geometrica), concezione pur ampiamente sostenuta da talune fonti critiche nel dibattito del secolo scorso, la cui applicazione nelle città ha tuttavia prodotto risultati assai discutibili (se non disastrosi) sia sul piano urbanistico e architettonico che su quello storico e culturale”[8] (Allegato 2 – pag. 25).
Tali affermazioni non sono coerenti con le scelte tecniche riportate sugli elaborati grafici presentati e non sono da ritenersi in linea con quanto espresso dall’articolo 6 della Carta internazionale sulla conservazione e il restauro di monumenti e insiemi architettonici (Carta di Venezia) che dichiara quanto segue: “La conservazione di un monumento implica quella delle sue condizioni ambientali. Quando sussista un ambiente tradizionale, questo sarà conservato; verrà inoltre messa al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione e utilizzazione che possa alterare i rapporti di volumi e colori.” L’applicazione della tutela indiretta prevista dagli artt. 45-46-47 del D. Lgs 42/2004, su di un edificio vincolato, poi, non è secondo il legislatore una scelta “ideologica”, “discutibile” o tantomeno “disastrosa” come invece pensano i tecnici del comune.
Il sito, occupato in parte dal Convento di S. Antonio Abate, versa in uno stato di totale abbandono, in cui sono state adottate alcune scelte tecniche discutibili che hanno già alterato il suo aspetto originario. nel 2001, infatti, l’amministrazione comunale ha realizzato un parcheggio pubblico, tuttora scarsamente utilizzato, sull’area dove anticamente insistevano gli orti del convento e probabilmente una sepoltura (allegato 4). Tale opera ha comportato la movimentazione di una notevole quantità di terra senza che siano state eseguite preventivamente una ricognizione archeologica, atta alla verifica di manufatti e resti antichi di rilevanza storica ed una indagine geologica per la presenza nella zona di cavità artificiali di notevole pregio. Dopo che sia stata letteralmente livellata la collinetta posta sul retro dell’edificio, sono state rinvenute ossa umane. La magistratura in un primo momento ha disposto il sequestro dell’area ma in breve tempo ha archiviato il caso considerando i resti umani di “dubbia provenienza”. L’amministrazione comunale, poi, per assicurare al parcheggio l’approdo dei pedoni sul corso della Repubblica, ha disposto la demolizione di parte del muro di confine che anticamente cingeva gli orti del convento.
La zona di S. Antonio, costituita dall’ex convento trasformato agli inizi del ‘900 e dalle relative pertinenze, rappresentano un “Unicum” imprescindibile dal punto di vista ambientale, per le consistenti integrazioni storiche e funzionali che, nei tempi, ne hanno costituito un complesso unitario (sepoltura, luogo religioso e assistenziale, l’opificio, le grotte, il Parco Della Rimembranza, …), oltre che un ambiente complessivamente legato alla memoria storica collettiva. Dall’edificazione del convento ad oggi, piccoli cambiamenti a parte, la superficie, oggetto della presente richiesta di vincolo, è rimasta fondamentalmente inalterata (allegati 5 e 6).
L’area in oggetto, nel suo complesso, costituisce una delle pochissime superfici libere all’interno del Centro Urbano giacché esse si sono progressivamente ridotte, negli ultimi decenni, a seguito delle successive varianti alle norme urbanistico - edilizie, che hanno portato all’attuale saturazione dei residui “Buchi” di verde all’interno della trama urbana.
La zona “S. Antonio” di Cisterna sorge a 35 m. sul livello del mare sulla parte più alta della città. L’ubicazione fa ragionevolmente presumere che in questo luogo si siano insediati i primi abitanti di Cisterna. Le fonti storiche medievali riportano questo toponimo a seguito della fondazione di un’abbazia di cistercensi denominata “S. Antonio Abate in Lacio”.[9]
Il nome viene successivamente “dimenticato” dagli elaborati urbanistici, ma non dalla tradizione orale, tanto che ancor oggi indica un luogo preciso, costituendo, pur nella trasformazione urbanistica della città, un importante riferimento non solo architettonico o artistico, ma anche storico e sociale.
L’area è posta alla fine di una delle grandi direttrici della transumanza, la “Doganale”, che attraversa le tenute di Torrecchia Vecchia e Torrecchia Nuova e termina, appunto a “S. Antonio” dove insisteva un grande abbeveratoio per il bestiame.
La vista dell’ex mulino segnava il “traguardo” e la fine delle fatiche dei pastori che in due giorni riuscivano a coprire distanze superiori ai 100 chilometri.
L’arrivo a Cisterna si manifestava con il ringraziamento simbolico per il conseguimento dell’impresa a S. Antonio Abate, protettore degli animali, molto venerato da tutto il popolo contadino.
Si deve ricordare, poi, che ad esempio nel Convento di S. Antonio Abate “… il 1° di Gennaio di ogni anno vi si celebravano le 40 Ore, che vi si benedicevano i cavalli nella festa di S. Antonio, che vi si portava la processione delle Rogazioni, che vi si funzionavano i 13 giorni precedenti la festa di S. Antonio di Padova e la solennità di detta festa, che in tutti i Sabati dell’anno la sera vi si recitavano le Litanie alla Madonna, che vi si celebrava la Messa dal Cappellano, e che la detta Chiesa era frequentata da numeroso popolo, molto divoto del Santo Titolare.” [10]
“Il giorno dopo Pasqua si accompagnava in processione solenne il Crocifisso dalla Collegiata fino alla chiesa di S. Antonio abate fuori la porta; vi prendevano parte ugualmente il capitolo, il clero e i confratelli.”[11]
Conservare e non alterare un luogo significa soprattutto cimentarsi nell’impresa di “restauro” della memoria storica di una comunità, che ha subito profonde trasformazioni indotte dai processi di modernizzazione e che, particolarmente tra le nuove generazioni, è esposta a fenomeni di smarrimento dell’identità collettiva.
Appare opportuno tornare ad osservare il territorio con l’occhio “acculturato” di chi sa “riconoscere” i luoghi, chiamandoli per nome e conservandoli, per valorizzare le loro peculiarità storiche.
Ripristinare correttamente la toponomastica storica di un luogo non significa soltanto conservare un nome ma rispettare e conservare il luogo stesso.
Se una comunità smarrisse l’identità culturale e recidesse le proprie radici, perderebbe con la conoscenza del passato anche la possibilità di progettare il futuro.
Nell’area, oggetto del PII, convivono in un delicato equilibrio un monumento storico di rilevante valore (il Convento di S. Antonio Abate), un esempio di archeologia industriale (il mulino), un’area verde ancora inalterata (coincidente con l’orto dei frati) ed un’altra su cui insisteva il Parco della Rimembranza,[12] oggi sostituito da un capannone abusivo (Allegato 3).
Nell’area in oggetto insiste una rete di relazioni articolate in parte alterate, in parte ancora leggibili, delimitate in buona parte dalla cinta muraria del convento e salvaguardabili. Questa complessità ed articolazione è la garanzia del mantenimento di una unitarietà, di un senso del luogo, che nonostante ripetute aggressioni, alcune anche recenti, è tuttora percepibile.
L’importanza del luogo “S. Antonio” è dovuta inoltre alla sua collocazione strategica in uno degli accessi della città e rappresenta il suo confine storico a nord.
È chiaro che la tutela dell’area deve estendersi oltre che al mantenimento della sua funzione originaria anche alla conservazione di una continuità paesaggistica attraverso l’inedificabilità dei nuovi edifici previsti dal programma integrato. C’è da precisare che l’intervento ricade sulla parte posteriore dell’immobile vincolato, sul parcheggio realizzato dal comune e, inspiegabilmente, su di un piccolo giardino attiguo all’area del convento di proprietà “Mola-Mormile” (Allegato 3). Il presupposto dell’intervento finalizzato alla riqualificazione di un’area degradata espresso dalla L.R. 26.06.1997 n. 22 è del tutto assente.
I progettisti del PII nel parere sull’osservazione del WWF, allegata alla presente (nota prot. 19256 del 13.06.2006), indicano come elemento fondamentale ed imprescindibile del progetto: “il luogo, la posizione strategica dell’area, la singolarità dell’edificio dell’ex mulino, la cui imponenza e storia costituisce punto di riferimento e caratterizzazione per l’intera comunità” (Allegato 2 – pag. 19). Tale affermazione cade in contraddizione visionando il progetto che prevede l’edificabilità di tutta l’area circostante al convento. A pagina 13 della Relazione Illustrativa del PII si legge: “Il progetto prevede il futuro restauro conservativo dell’antico complesso dell’ex mulino Luiselli con la riqualificazione immediata dello spazio antistante e retrostante e nuove edificazioni su via Quasimodo e sulla via Appia. Il restauro dell’edificio, unitamente alla riqualificazione della piazza antistante sono elementi con caratteristiche urbanistiche, architettoniche e funzionali proprie di un intervento a finalità pubblica, mentre le nuove edificazioni rappresentano un bilanciamento rispetto alla proprietà privata attuale nonché un nodo di sviluppo di un ambito urbano esistente che intende riqualificarsi. Come si è già detto, il complesso dell’antica chiesa e convento di S. Antonio Abate che verrà ceduto al Comune di Cisterna di Latina e presumibilmente interamente destinato dallo stesso ad accogliere attività pubbliche, sarà, dopo questa iniziativa, oggetto di un misurato intervento di restauro, mentre l’area antstante al complesso storico, così come il progetto illustra, verrà investita da una radicale operazione di riqualificazione.”
È inammissibile pensare ad una “radicale operazione di riqualificazione” di un luogo che non ha bisogno di essere riqualificato e, comunque, prima del restauro dell’edificio. Sarebbe più logico il contrario.
Il sottoscritto, secondo quanto esposto, chiede espressamente a codesto Ministero, non solo di attivarsi concretamente per annullare l’attività edificatoria prevista, ma di decretare anche una specifica fascia di protezione, tutela indiretta o area di rispetto, in modo da custodire, anche per il futuro, l’integrità del Mulino Luiselli – ex Convento di S. Antonio Abate e delle cavità artificiali presenti nel sottosuolo.[13]
Chiede, inoltre, di adoperarvi non solo nel contrastare la decisione del Comune e dei privati di mettere in opera il Programma Integrato d’Intervento in quel contesto, ma soprattutto di impegnarvi convintamente per un necessario risanamento dell’area interessata, affinché questo sia un primo importante passo di un cambiamento necessario contro un errato modello di sviluppo che fin troppo il territorio ha già deturpato.
Distinti saluti.
Cisterna di Latina, 30.10.2008.
Maurizio Cippitani
[1] Associazione inserita nel procedimento amministrativo in quanto portatrice di interessi diffusi.
[2] Dal titolo: “Il PII ex Mulino Luiselli. Recupero urbanistico e salvaguardia del patrimonio storico archeologico dell’ex Convento di Sant’Antonio e della struttura industriale.”
[3] Nei progetti presentati negli anni passati i progettisti affermarono, inoltre, che l’edificio a seguito di molte modifiche e dei danni riportati dalla guerra, “…i proprietari di allora modificarono quasi radicalmente la vecchia struttura”. Si consideri, invece, che il 29 ottobre del 1948, Raffaele Luiselli (proprietario dell’immobile dal 1934 al 1969) scrisse una lettera (conservata presso l’archivio delle industrie molitorie della C.C.I.A.A. di Latina) al Ministero dell’Industria e Commercio affermando che durante la guerra “l’impianto non ha subito nessuna modificazione.” I tecnici della società MU.CI. s.n.c. hanno anche sostenuto che: “L’impianto ecclesiastico scomparì nell’ottocento per far posto ad un granaio”. Ciò può essere smentito semplicemente sovrapponendo la planimetria del convento in possesso dell’associazione a quella del mulino e illustrando così quali siano le mura antiche, ancora esistenti. Si è inoltre messo in dubbio la stessa esistenza dell’antico edificio sacro affermando che “…l’intera struttura (…) si pensa sia stata realizzata su un’area occupata da un vecchio convento.” In uno dei progetti presentati in passato non sono state allegate dalla MU.CI. s.n.c. le piante relative allo stato di fatto e a quello di progetto del piano interrato, facendo sorgere dubbi circa la volontà di lasciare inalterata la cavità artificiale. Mettendo, invece, a confronto la pianta del piano terra – stato di fatto (tav. 4) e la pianta piano terra – stato di progetto (tav. 21), si notava immediatamente che la scala delle grotte, esistente nel primo prospetto, scompariva nel secondo lasciando il posto ad un ascensore la cui utilità non era evidente.
[4] Il certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Cisterna di Latina alla Mu.Ci. s.n.c. in data 28.02.1996 destinava la Part. 302 a “verde pubblico”.
[5] nota prot. 21186 del 27/05/2004.
[6] deliberazione del C.C. n. 47 del 04/08/2005.
[7] Parere dei progettisti – osservazione pervenuta del 06.06.2006.
[8] Controdeduzioni del Servizio Urbanistica del comune di Cisterna di Latina alla opposizione-osservazione pervenuta.
[9] Pantanelli, Notizie Soriche di Sermoneta, vol. I, Lib. IV, pag. 466.
[10] Visita Pastorale “Macchi-Micara”, 1846, Archivio Curia Vescovile di Velletri.
[11] Visita Pastorale “Spinelli”, 1762, Archivio Curia Vescovile di Velletri.
[12] Nella parte antistante il mulino c’era il parco della rimembranza di Cisterna. Tutta l’area del convento era negli anni ’30 di Carlo Muratori. Dopo il primo conflitto mondiale, il Muratori donò al Comune la zona vicina alla strada Appia per la costruzione di un parco pubblico dedicato ai caduti in guerra. Il Parco della Rimembranza era composto da 72 palme ognuna intitolata ad un morto in guerra.
Il 16 dicembre del 1934 l’edificio fu venduto a Raffaele Luiselli con il parco, probabilmente, non accatastato precedentemente dal Comune. Gli alberi del parco furono tagliati un po’ alla volta negli anni che vanno da 1943 al 1945. Come affermano alcuni anziani di Cisterna, i tagli furono bloccati dal capo cantoniere dell’ANAS che abitava in prossimità del mulino, ma, appoggiato dal Podestà, il Luiselli continuò la sua “opera”. A ricordo dello scempio perpetrato esiste ancora oggi una palma superstite situata all’angolo tra il Corso della Repubblica e Via Dante Alighieri. Il Piano di Ricostruzione (che ha la stessa efficacia di piano regolatore) prevedeva sulla zona la realizzazione di un’area verde. Intorno agli anni Sessanta, Raffaele Luiselli pensò di costruire, utilizzando la superficie del parco, un capannone abusivo.
[13] Nella parte sotterranea dell’edificio esiste una grotta artificiale che presumibilmente andava a congiungersi con il Palazzo Caetani e con la “Villa Caetani”. Nella cavità si dovrebbe ancora trovare la cripta dei frati, la cui esistenza è desumibile sia da testimonianze che da fonti documentali rinvenute dall’associazione scrivente.
Ad esempio, Benedetto Spila (Memorie Storiche della Provincia Riformata Romana, Roma 1890, pag. 128) ricorda che: “Nella Chiesa riposa nel Signore il Fr. Fortunato Setini da Cisterna (…) nel venerabile Convento di S. Antonio di Cisterna (…) morì in concetto di bontà singolare...”, così come il Canonico Don Luigi Peroni (Le Risposte ai quesiti, che si fanno al sottoscritto dall’Eminentissimo e Reverendissimo Cardinale Vescovo di Velletri, 19 aprile 1845, Archivio Curia Vescovile di Velletri) evidenzia come nel convento: “Esservi una sola sepoltura, che si suppone essere stata fatta per seppellirvi i Religiosi.” La grotta non è stata minimamente considerata dal PII lasciando sconosciuta la sua sorte. La componente sotterranea necessita di un vincolo di tutela, richiesto già dal 1997 da codesta associazione alle Soprintendenze Archeologica ed Architettonica per il Lazio, le quali però si sono dichiarate non competenti per tale materia. Per dirimere la questione lo scrivente ha ritenuto opportuno richiedere l’intervento del Direttore Generale del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali in data 12.01.1999. Ancora non si è riuscire ad ottenere una risposta.
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